Amelia e Remo

Negli anni ’30 Amelia aveva lavorato a Torino presso una grande ditta di esportazioni, che aveva un notevole giro d’affari, nonostante l’autarchia agognata dall’affabulatore dalla mascella volitiva. Aveva studiato al liceo classico e conosceva bene tre lingue. Amelia era una ragazza davvero emancipata, di un’eleganza rara, figlia della sua innata sicurezza. Nel 1948 capì di averne avuto abbastanza della grande città e decise così di conoscere le campagne dell’astigiano, dando la precedenza a paesi in cui passasse il treno, nel caso in cui la malinconia volesse riscattare il suo tributo con una visita occasionale a Torino. La scelta non era facile e Amelia decise che la cosa migliore sarebbe stata visitare i paesi candidati al suo trasferimento in occasione delle rispettive feste patronali, quando la gente era allegra e meno afflitta dalla preoccupazioni che la campagna dona con meticolosa regolarità.

Fu così che conobbe Terenzio, alla fiera di T., nota con il nome di Stelle in stalla, protagoniste le mucche. Era un omone gigantesco, con i capelli arruffati, la barba che gli sfiorava il petto e gli occhi di chi riesce a vedere l’alba anche al buio. Non fu necessario aprire bocca, per capire che avrebbero trascorso la vita insieme. Terenzio le offrì un tamarindo e tutto sè stesso.

La fattoria “I Tetti” si trovava nell’unica area pianeggiante di B., i suoi terreni erano piuttosto fertili e gli animali che la popolavano avevano la fortuna di disporre di un rio, l’Andona, che aveva sempre acqua, anche in estate. Amelia volle adattarsi alla vita di campagna, ma non fu difficile, sostenuta dall’amore incondizionato per Terenzio. Pose un’unica condizione: che le fosse riservata una stanza dover poter conservare i suoi libri e le sue riviste, il servizio da tè acquistato a Londra durante un viaggio di lavoro e le stampe della pubblicità della Martini e Rossi. Così nacque la stanza blu, come il colore della porta e della carta da parati. Vi si rifugiava ogni tanto, specie dopo le sue gite a Torino, da dove tornava carica di libri e di tè.

Terenzio morì improvvisamente nel 1978, 30 anni dopo il loro incontro. Quel giorno morì un po’ anche Amelia.

Remo era considerato un capo tribù dei Sinti che, ormai stanziali, si erano stabiliti in discreto numero a B. Gli abitanti del paese non erano contenti perché, a detta loro, “I Sinti rubavano”, “Non facevano niente tutto il giorno” e “Le loro donne rapivano i bambini nascondendoli sotto i gonnelloni”; a dimostrazione però che in realtà fossero ben più tolleranti di quanto non facessero intuire le loro parole, ogni famiglia di B. possedeva un motosega della stessa marca e modello, venduto in “offerta speciale a 50 mila lire” dal Cucu, una domenica pomeriggio alla bocciofila. In fondo i paesani erano di vedute più larghe di quanto pensassero.

Remo era di bassa statura, con il volto ricoperto da lentiggini, gli occhi neri e aveva un fare spavaldo in ogni occasione. Una sera, mentre parte della sua tribù affinava le proprie abilità boccistiche, si mise d’accordo con il Cucu per fare uno scherzo, giusto per passare un po’ di tempo prima del turno di notte. “Cucu, ‘nduma da Amelia, ej ciuluma chica garina, pö duma-n fuma festa. ‘Nduma?”* Il Cucu non se lo fece dire due volte e dieci minuti dopo erano nel cortile della fattoria. Gli animali giravano liberi, entravano persino liberamente in casa, fatta eccezione per la stanza blu, e morivano di vecchiaia, perché erano tutti “ricordi” di Terenzio. Amelia non aveva toccato nulla dalla sua morte, anche la vecchia Kadett azzurra era rimasta parcheggiata, ormai rottame, sotto al melo dove l’aveva lasciata Terenzio. “Amelia!”, sono Remo, sono venuto a prendere 5 galline perché domani abbiamo una festa. “No Remo, io non vendo mica galline...” “E chi ha detto che vogliamo comprarle? Ce le prendiamo e bo-n”. Queste parole furono seguite da una fragorosa risata. Amelia non riusciva a capacitarsi di questo furto. Rimase seduta immobile per ore nella stanza blu, finché decise di difendere la memoria di Terenzio e i suoi animali. Teneva nascosto in cantina un Flaubert, un fucile ad aria compressa che in passato aveva usato per il tiro a segno, una passione che le aveva trasmesso il papà carabiniere. Lo caricò a sale grosso, certa che Remo sarebbe tornato. Così fu, infatti. Remo e il Cucu tornarono diverse volte, decimando il numero di animali della fattoria. Lei provò a difendersi e sparò qualche carica di sale, con il solo effetto di generare risa di scherno. Una sera di inizio marzo, con il Foehn che portava profumi rubati in Francia, Remo si presentò con il Fiorino del Cucu perché voleva portarsi via Elda, la capra che Terenzio aveva acquistato due anni prima per fare un po’ di latte.

Amelia non avrebbe potuto sopportare il rapimento di Elda, ultimo ricordo vivente del suo omone. Quando vide Remo prendere a calci Elda, decise di scendere, dopo aver imbracciato il fucile, e di affrontare i due ladri. Quando questi la videro scendere con la ciabatte, la vestaglia a fiori azzurri e il fucile, scoppiarono a ridere in modo irrefrenabile. “Oh, Amelia, j’avu giüst d’ausogn d’la sà, piché el cravot sensa sà l’è pa bun-n...”**. Amelia questa volta aveva preso la carabina di Terenzio, caricata a pallettoni per cinghiali. Nell’oscurità, Remo non si era accorto di questo e le si avvicinò fino a prendere in mano la canna dell’arma. “Amelia, vughima ‘n poc se t’las el curagi da sparè”.

Il buco nella pancia di Remo permetteva di intravvedere la Kadett sotto al melo. Remo cadde con il suo sorriso sardonico dipinto sul volto, mentre il Cucu, irrigidito dal terrore, sentiva il tepore dell’urina scendergli lungo le gambe. “Pronto, polizia? Sono Amelia d. B., c’è stato un incidente...”

 

*Cucu, andiamo da Amelia, le rubiamo qualche gallina e domani facciamo festa. Andiamo?

**Oh, Amelia, avevamo giusto bisogno del sale, perché il capretto senza sale non è mica buono

***Amelia, vediamo un po’ se hai il coraggio di sparare

Nota: Per la grafia del piemontese mi sono preso la libertà di utilizzare in parte quella indicata da Camillo Brero e in parte quella invece consigliata da Bruno Villata. Il fine è quello di renderla di più facile comprensione.