Fiori gialli

Andrea era sempre stato assillato dal dubbio se un fiore reciso si dovesse considerare un fiore ucciso. Gli piacevano molto i mazzi di fiori, ma il pensiero che ogni fiore del mazzo non avrebbe potuto concludere il proprio ciclo vitale naturale lo disturbava non poco. Le contingenze lo avrebbero poi portato a patti con la propria intransigenza.

Una sera di settembre, arrivato tardi dal lavoro in vigna, prese l’auto e si diresse a velocità sostenuta verso il supermercato del paese; non voleva arrivare troppo tardi, per trovare ancora qualcosa nel piccolo reparto dedicato a fiori e giardinaggio. Fu fortunato, perché c’erano ancora alcuni mazzi piuttosto freschi. Ne scelse uno con delle dalie di un bel colore zafferano, radiose e gelide nella loro perfezione.

Una bambina, sorpresa nel vedere un uomo vestito da campagna, con gli stivali verdi ai piedi e un mazzo di fiori in mano, chiese alla mamma: “A chi porterà i fiori quel signore lì?” “Chi lo sa...”, rispose la mamma, “Forse saranno per una sua amica”, sottintendendo con quel termine una relazione inopportuna. Una ragazza, impegnata a scegliere i biscotti per cui sentirsi in colpa il giorno dopo, lo vide e invidiò la moglie che avrebbe ricevuto quel mazzo: un pensiero pescato direttamente nei suoi sogni di una vita di coppia eterna. Andrea si era visto nelle vetrate del supermercato ed effettivamente la sua immagine era del tutto in contrasto con il mazzo di fiori che recava in mano. Ricordava, a proposito, che quando aveva fatto la visita militare, per aver risposto affermativamente alla domanda se gli sarebbe piaciuto fare il fioraio, fu inviato immediatamente dallo psicologo. I fiori erano ancora considerati roba da donne, chissà perché. Alla cassa, un uomo di mezza età gli indirizzò un accenno di sorriso d’intesa: nella disillusione dei suoi cinquant’anni era convinto che Andrea si fosse ricordato all’ultimo momento dell’anniversario di matrimonio o del compleanno della moglie. O dell’amante.

La storia era invece un po’ diversa. Il nonno di Andrea, Gerardo, aveva ormai più di novant’anni, era ancora abbastanza autonomo, ma viveva da solo e il suo unico nipote passava da lui prima di sera, per un breve saluto e magari per un caffè, solitamente corretto, da prendere insieme, spesso senza il contorno di parole, ma accompagnato da sguardi che andavano dal passato fino al tramonto, passando per qualche sorriso. Gerardo non aveva grandi pretese, era ancora in grado di cucinare quel poco che mangiava, anche se aveva qualche difficoltà di movimento che gli impediva di curare il suo amato giardino, ma a questo pensava Andrea.

Il nonno aveva un’innocua fissazione per i fiori gialli e Andrea lo sapeva fin da bambino. Ai primi di febbraio, infatti, Gerardo si presentava a casa del figlio Filippo, il papà di Andrea, per portare il nipote a caccia di fiori. Gialli. Sui pendii rivolti a Sud si potevano trovare i fiori della cicoria selvatica, che facevano a gara con le primule per essere i primi fiori della stagione, ignari che il gelsomino d’inverno aveva anticipato entrambe di un mese. Nelle settimane successive si dava la caccia alle prime forsizie, poi arrivavano i narcisi selvatici, seguiti dai fiori del tarassaco o soffioni, come li chiamavano i bambini quando a quei fiori venivano i capelli bianchi. La caccia ai fiori gialli durava fino alla fioritura delle rose, poi si interrompeva fino alla stagione successiva. Nel suo piccolo giardino Gerardo aveva fatto in modo che ci fosse un fiore giallo in ogni mese dell’anno: a dicembre e gennaio il gelsomino d’inverno, poi la cicoria a febbraio, i narcisi a marzo, i tulipani ad aprile, poi era il turno della robinia, seguita dal tiglio e dalle rose, tutte gialle che fiorivano per tutta l’estate; a ottobre c’erano i crisantemi, che davano colore fino a novembre. Il problema era settembre, avaro di fiori gialli, nel giardino di Gerardo. Ecco perché Andrea era entrato nel supermercato a comprare quel mazzo di dalie. Aveva dovuto farsi forza per non considerare i fiori recisi come fiori uccisi. Era riuscito a farsene una ragione pensando che quei fiori non sarebbero mai stati piantati se non per essere venduti. Si consolò all’idea che qualcuno dei bulbi sarebbe sfuggito alla coltura intensiva e sarebbe andato a fiorire indisturbato in un fosso, visitato solo da api e farfalle. Il sacrificio di quei fiori avrebbe dato un po’ di serenità a Gerardo, una giusta ricompensa per averne preservati migliaia durante le sue giornate di “caccia”.

Un giovedì di fine settembre, guardando l’ultimo sole che giocava tra i petali delle dalie, Gerardo chiuse gli occhi, mentre Andrea era lì con lui a prendere quello che sarebbe stato l’ultimo caffè col nonno. Gerardo aveva espresso un desiderio al nipote, per quando sarebbe morto. Innanzitutto, desiderava essere tumulato in terra e per questo aveva acquistato già molto tempo prima un piccolo lotto nel cimitero del paese. Sopra la tomba non voleva ghiaia o marmo, ma terriccio da giardino, quello profumato di muschio; nel terriccio si sarebbero dovuti piantare bulbi di narciso di tutte le varietà, da quelli nani fino a quelli tripli. Andrea esaudì il desiderio del nonno e la primavera successiva la fotografia di un giovane Gerardo guardava compiaciuta la danza dei narcisi al vento tiepido di marzo. Quando anche Andrea aveva cominciato a sentire le gambe pesanti, cariche di anni, il cimitero di B. era diventato un’attrazione locale e non solo. I narcisi avevano colonizzato tutte la superficie, invadendo pacificamente tutte le altre tombe in terra. Era diventato per tutti il camposanto dei fiori gialli.